Unioni civili
Il parlamento Italiano ha approvato in data 11.5.2016 la Legge che regolamenta le unioni civili e le convivenze di fatto, della quale vi spieghiamo brevemente il contenuto.
Le unioni civili sono definite “una specifica formazione sociale” tra due persone legate da vincoli affettivi ed economici non vincolate dal matrimonio o impossibilitate a contrarlo.
La definizione è espressione:
- del disposto contenuto all’art.2 della Carta Costituzionale, relativo ai diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali cui manifesta la propria personalità;
- del disposto contenuto all’art. 3 della Costituzione, relativo alla pari dignità sociale dei cittadini senza distinzione di sesso.
L’unione civile non può essere contratta da:
- persone sposate o parte di un’altra unione civile;
- persone interdette per infermità mentale;
- parenti;
- persone condannate in via definitiva per l’omicidio o il tentato omicidio di un precedente coniuge o contraente di unione civile dell’altra parte;
- persone il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore.
L’unione civile si dichiara e poi si registra nell’archivio dello stato civile. E’ contratta tra due persone maggiorenni alla presenza di due testimoni dinnanzi ad un ufficiale di stato civile e viene annotata con l’indicazione di:
- dati anagrafici;
- residenza;
- regime patrimoniale.
Le parti possono scegliere un cognome comune tra quelli delle parti, anche anteponendo o posponendo il proprio cognome. Si tratta di un’opzione (nel matrimonio invece la moglie acquista automaticamente il cognome del marito) dunque le coppie omosessuali possono scegliere se utilizzare un cognome comune, a scelta tra uno dei due ovvero restare legati al proprio cognome di nascita.
La legge non stabilisce l’equiparazione tra le coppie eterosessuali ed omossesuali, come previsto in altri Paesi, ma permette anche alle coppie omosessuali di essere considerate legalmente una coppia e di vedersi riconosciuti molti dei diritti del matrimonio.
La vicinanza tra i due istituti è evincibile dalla lettura del testo della legge, che estende le disposizioni che si riferiscono al matrimonio civile alle unioni civili tra le coppie dello stesso.
I due istituti differiscono tuttavia sotto altri aspetti.
Ad esempio:
- nel matrimonio la moglie acquisisce il cognome del marito come cognome comune (nelle unioni civili si può scegliere);
- si può richiedere lo scioglimento del matrimonio trascorso un periodo di sei mesi o un anno dalla separazione personale dei coniugi (per le unioni civili sono sufficienti 3 mesi);
- si può sciogliere il matrimonio se non è stato “consumato”;
- prima del matrimonio è necessario fare le pubblicazioni presso il Comune ove verrà celebrato il matrimonio e ove risiedono i nubendi. (Per le unioni civili non sono previste pubblicazioni, con la conseguenza che nessuno può opporsi alla formalizzazione del rapporto).
Ci sono, poi, altre differenze in campo penale:
- Se un coniuge uccide l’altro la pena è aumentata da 21-24 anni a 24-30;
- L’aggravante non è prevista nelle coppie unite civilmente;
- Nei sequestri di persona il Giudice può bloccare i beni di un coniuge che potrebbero essere utilizzati per pagare un eventuale riscatto. Uguale provvedimento non può invece essere assunto in caso di unioni civili;
- Il divieto di bigamia è previsto solo per le coppie unite in matrimonio;
- I reati di abuso di ufficio, commessi in presenza di un interesse del coniuge, saranno imputabili a due coniugi sposati ma non a due persone unite civilmente.
Le differenze più discusse riguardano la stepchild adoption e l’obbligo di fedeltà.
Com’è noto, il matrimonio prevede l’obbligo di fedeltà, non previsto invece nelle unioni civili. Resta salvo l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione.
Il testo originario del ddl prevedeva all’art. 5 l’istituto della stepchild adoption, successivamente stralciato durante l’iter per l’approvazione della legge.
L’istituto individua la possibilità del genitore non biologico di adottare il figlio, naturale o adottivo, del partner.
Tale adozione è invece possibile per le coppie eterosessuali sposate, o conviventi more uxorio da almeno tre anni, ma sposate al momento della richiesta.
La legge precisa tuttavia “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”.
L’inciso consente dunque ai Giudici di pronunciarsi sui singoli casi di adozioni relativi alle coppie omosessuali, come già accaduto in alcuni Tribunali.
Le coppie unite civilmente possono firmare una dichiarazione contenente la volontà di sciogliere l’unione. Dovranno aspettare solo 3 mesi prima di iniziare le procedure di divorzio che potrà avvenire per via giudiziale, con la negoziazione assistita o grazie ad un accordo sottoscritto dalle parti davanti ad un pubblico ufficiale.
E’ sancita piena parità tra matrimonio civile ed unioni civili in materia di regime patrimoniale della famiglia (è dunque possibile scegliere tra comunione legale dei beni e separazione), di diritti successori e reversibilità.
La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso comporta lo scioglimento dell’unione omosessuale.
Se invece è uno dei coniugi di una coppia sposata a rettificare anagraficamente il sesso, il matrimonio si trasformerà automaticamente in un’unione civile se la coppia decide di non sciogliere il matrimonio.
La legge disciplina anche la convivenza di fatto tra persone sia eterosessuali che omosessuali, consentendo la stipula di contratti scritti di convivenza innanzi ad un avvocato o ad un notaio.
La convivenza di fatto è un rapporto tra due persone maggiorenni stabilmente legate da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale.
I conviventi non devono essere vincolati da rapporti di parentela, affinità, adozione, matrimonio o da un’unione civile.
Il contratto di convivenza deve essere redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata, con sottoscrizione autenticata da un avvocato o da un notaio.
Il contratto non può essere sottoposto a termine o condizione.
Il contratto di convivenza può contenere l’indicazione:
- della residenza;
- delle modalità di contribuzione alle necessità della vita comune, in relazione alle sostanze dei conviventi ed alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
- del regime patrimoniale della comunione dei beni. La scelta del regime patrimoniale potrà essere modificata in qualunque momento.
Il contratto di convivenza attribuisce ai conviventi di fatto gli stessi diritti spettanti al coniuge in caso di:
- malattia o ricovero;
- ordinamento penitenziario;
- donazione degli organi;
- modalità di trattamento del corpo;
- celebrazioni funerarie.
Il contratto di convivenza si risolve nei casi di:
- accordo delle parti;
- recesso unilaterale;
- matrimonio tra i conviventi o di uno dei conviventi con un’altra persona;
- unione civile tra i conviventi o di uno dei conviventi con un’altra persona;
- morte di uno dei conviventi.
La risoluzione del contratto di convivenza determina lo scioglimento della comunione dei beni.
Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso deve contenere, a pena di nullità, il termine concesso al convivente per lasciare l’abitazione, non inferiore a novanta giorni.
In caso di cessazione della convivenza di fatto, il Giudice può stabilire a carico del convivente l’obbligo alla corresponsione di un assegno di mantenimento in favore dell’altro convivente che versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.
L’importo dell’assegno sarà determinato anche in relazione alla durata della convivenza.
In caso di morte del proprietario della casa, residenza comune dei conviventi, il convivente superstite ha diritto di continuare ad abitare nella casa minimo per due anni; tre anni se nella casa coabitano figli minori o disabili del convivente superstite.
Oppure per un periodo pari alla convivenza, se essa è stata di durata superiore a due anni.
Il diritto all'abitazione non può mai comunque superare i cinque anni.
Il diritto alla casa viene meno:
- qualora il convivente superstite cessi di abitarvi stabilmente;
- in caso di matrimonio;
- in caso di unione civile;
- in caso di nuova convivenza di fatto.
Nei casi di morte del convivente titolare del contratto di locazione oppure in caso di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedere nel contratto.
Al convivente di fatto che presta stabilmente la propria opere all’interno dell’impresa dell’altro convivente, spetta una partecipazione commisurata al lavoro prestato:
- agli utili dell’impresa;
- ai beni acquistati con gli utili;
- agli incrementi di azienda, anche in ordine all’avviamento.
Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.
- blog di Avv. Giuliana Mongiovì
- 7783 letture