Assicurazione professionale e clausole claims made
Capita frequentemente che, nei contratti di assicurazione per la responsabilità professionale, sia inserita la clausola c.d. claims made; letteralmente: "a richiesta fatta".
Si tratta di una clausola che limita la copertura assicurativa ai soli sinistri, per i quali la richiesta di risarcimento sia pervenuta al professionista durante il periodo di vigenza della polizza.
Si distinguono due tipi di clausola claims made: quella pura e quella mista.
La clausola claims made pura limita la copertura assicurativa a tutti i sinistri per i quali il professionista abbia ricevuto la richiesta di risarcimento durante il periodo di operatività del contratto di assicurazione, a prescindere da quando si sia verificata la condotta del professionista che ha dato causa al sinistro.
Così per esempio, se un medico procura colpevolmente un danno al paziente prima di stipulare il contratto di assicurazione, ma la richiesta di risarcimento gli giunge dopo la conclusione del contratto, il sinistro è coperto dall'assicurazione. Viceversa, se il medico procura il danno durante la vigenza del contratto, ma la richiesta di risarcimento giunge successivamente allo scioglimento dello stesso, allora il sinistro non è coperto.
La clausola claims made mista, aggiunge un ulteriore presupposto: essa infatti comporta la necessità non solo che la richiesta di risarcimento sia pervenuta al professionista durante il periodo di vigenza del rapporto di assicurazione, ma anche che il sinistro sia stato causato durante tale periodo.
Quindi, in virtù di questa clausola, affinchè un medico, per esempio, possa invocare la copertura assicurativa per un danno provocato ad un paziente, è necessario non solo che la richiesta di risarcimento sia pervenuta durante la vigenza del contratto, ma anche che la condotta che ha causato il danno sia stata posta in essere durante quel periodo.
Come è facile intuire, la claims made mista circoscrive grandemente i sinistri coperti dall'assicurazione. Ed infatti, può passare anche molto tempo tra il momento in cui il professionista procura il danno al suo cliente ed il momento in cui il cliente richiede il risarcimento.
Nei contratti, tuttavia, è spesso prevista la copertura assicurativa di sinistri causati anche precedentemente l'inizio del rapporto.
Per esempio, si immagini un contratto con una clausola claims made mista, nel quale tuttavia le parti stabiliscano che sono coperti i sinistri che siano stati causati fino a tre anni prima della stipula del contratto, fermo restando che la richiesta di risarcimento del danno deve pervenire durante la vigenza dello stesso.
La clausola claims made sembra modificare lo schema codicistico del contratto di assicurazione della responsabilità civile.
Ed infatti, nella versione tipizzata dal codice, il contratto di assicurazione copre i danni causati durante il periodo di vigenza del rapporto, anche se la richiesta di risarcimento perviene al professionista dopo lo scioglimento del contratto.
Ciò si deduce agevolmente dalla lettura dell'art. 1917 del c.c. che così recita:
Questo schema contrattuale viene comunemente definito con il termine loss occurence, cioè "insorgenza del danno", in quanto, appunto, la sussistenza della copertura assicurativa si desume guardando al momento in cui il danno è stato causato, e non a quello in cui ne è stato chiesto il risarcimento.
La clausola claims made ha posto all'attenzione della dottrina e della giurisprudenza alcune questioni di grande importanza.
Ci si chiede, infatti:
- se la clausola sia da considerarsi vessatoria, a norma dell'art. 1341 c.c., in quanto limiterebbe la responsabilità dell'assicuratore. In questo caso, la clausola sarebbe da approvarsi specificamente per iscritto;
- se consista in una decadenza contrattuale, disciplinata dall'art. 2965 c.c. che ne sancisce la nullità nel caso in cui renda ad una delle parti eccessivamente difficoltoso l'esercizio del diritto;
- nel caso in cui le parti prevedano la copertura di sinistri causati prima della conclusione dell'accordo, se ciò vanifichi la causa del contratto di assicurazione, in quanto eliderebbe la necessaria caratteristica dell'aleatorietà;
- se la clausola è compatibile con lo schema negoziale previsto dal codice e se, considerata come patto atipico, essa sia meritevole di tutela.
Di tutto questo si è recentemente occupata la Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 9140/2016.
Prendo spunto, pertanto, da tale recente pronuncia.
La clausola in esame non può essere considerata vessatoria, spiega la Corte, ed infatti essa non prevede una limitazione della responsabilità, ma, diversamente, determina l'oggetto del contratto.
Ed infatti, clausole limitative della responsabilità sono quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell'inadempimento o che escludono il rischio garantito. La claims made, tuttavia, non ha il suddetto effetto, ma semplicemente determina il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e cioè specifica il rischio garantito. In altre parole, la clausola non limita la responsabilità, ma specifica meglio quali sinistri sono coperti e quali no (e quindi l'oggetto del contratto). Una volta che un sinistro rientra tra quelli coperti, la responsabilità dell'assicuratore è piena e non certamente limitata da quella clausola.
Si è, quindi, in presenza di una delimitazione dell'oggetto, quando la clausola negoziale ha lo scopo di stabilire gli obblighi concretamente assunti dalle parti, mentre si ha limitazione della responsabilità quando l'effetto della clausola è di escludere una responsabilità che, rientrando nell'oggetto del contratto, sarebbe altrimenti insorta.
La clausola claims made non può quindi essere considerata vessatoria e non è necessario, pertanto, che essa sia specificamente approvata per iscritto.
Le clausole claims made non consistono, inoltre, in una decadenza convenzionale.
Ed infatti, la decadenza implica la perdita di un diritto per il mancato esercizio di esso entro un termine stabilito.
E' evidente, pertanto, che la decadenza si riferisce ad una situazione soggettiva attiva già esistente; cioè: posso decadere dall'esercizio di un diritto, solo se quel diritto ce l'ho già.
La clausola claims made, al contrario, serve proprio a stabilire se e quando il diritto alla manleva sorge. Essa, quindi, incide non sulla decadenza dall'esercizio di un diritto già esistente, ma esattamente sulla nascita di quel diritto.
Alcuni studiosi ritengono che quando la copertura assicurativa si estenda a sinistri causati prima della stipula del contratto, ciò faccia venir meno l'alea richiesta a pena di nullità del contratto di assicurazione. Ed infatti l'art. 1895 c.c. così recita:
Si argomenta che, a norma di tale articolo, il rischio deve sempre essere futuro ed incerto.
La Corte, tuttavia, non condivide tale conclusione, a mio parere più che correttamente, in quanto non può considerarsi mancante l'alea se, al momento della conclusione del contratto, le parti non erano a conoscenza dell'esistenza dei fatti pregressi, causa dei sinistri assicurati.
Del resto, l'assicurazione professionale, a ben vedere, protegge dal rischio dell'aggressione al patrimonio dell'assicurato, per cause riconducibili a sinistri provocati dalla sua condotta colposa. Questo rischio è sempre futuro ed incerto, per il semplice motivo che esso dipende da più condotte e si forma dal progressivo dispiegarsi di tali condotte.
Ed infatti, non è sufficiente causare un danno affinchè il proprio patrimonio subisca un'aggressione da parte del danneggiato; è necessario anche che il danneggiato chieda il risarcimento del danno. Ora, anche nel caso in cui si sia certi di avere posto in essere una condotta colposa dalla quale è scaturito un danno, non si potrà mai essere certi del fatto che il danneggiato richieda il risarcimento e quindi è presente l'alea richiesta (sottolineo, comunque, che nel caso in cui l'assicurato sia al corrente di avere causato un danno prima della stipula, al massimo egli potrebbe rispondere per dichiarazioni inesatte a norma degli artt. 1892 e 1893 c.c.).
Inoltre, il c.d. rischio putativo è previsto espressamente dall'art. 514 del codice della navigazione che così recita:
Si presume, fino a prova contraria, che la notizia sia tempestivamente pervenuta nei luoghi suddetti.
L’assicuratore, che non sia a conoscenza dell’inesistenza o della cessazione del rischio ovvero dell’avvenimento del sinistro, ha diritto al rimborso delle spese; ha diritto invece all’intero premio convenuto se dimostra una tale conoscenza da parte dell’assicurato.
E specifica la Corte che tale norma non ha carattere eccezionale.
Come abbiamo già visto, secondo lo schema del contratto di assicurazione delineato nel codice civile, individuato nell'art. 1917 c.c., la copertura assicurativa riguarda i sinistri causati durante la vigenza del contratto. L'inserimento della clausola claims made modifica questo schema, legando la copertura assicurativa ad un altro elemento (in sostituzione o in aggiunta al primo) e cioè la richiesta di risarcimento.
Alcuni ritengono che tale mutamento non sia consentito in quanto snaturerebbe la causa del contratto di assicurazione che, nel caso specifico dell'assicurazione sulla responsabilità professionale, consisterebbe nel trasferimento, dal professionista all'assicuratore, del rischio derivante dall'esercizio dell'attività.
Oggetto di manleva, infatti, sarebbe esattamente il rischio derivante dall'attività professionale e non la richiesta risarcitoria in quanto tale.
E' bene subito precisare che l'art. 1932 c.c. elenca le disposizioni relative al contratto di assicurazione che non possono essere modificate dalle parti se non a favore dell'assicurato e tra di esse non è elencato l'art. 1917.
Non c'è alcun dubbio, pertanto, che le parti possano modulare nella maniera che ritengono più opportuna l'obbligo del garante di tenere indenne il garantito di quanto questi, "in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione"(art. 1917 c.c.), deve pagare a un terzo.
Si tratta pertanto di stabilire fino a che punto le parti possono modificare lo schema contrattuale senza snaturarne la causa. Più precisamente, si tratta di stabilire se le clausole in parola siano meritevoli di tutela. Come noto, infatti, le parti hanno libertà di modificare i contratti tipici come meglio ritengono, ma sempre nei limiti imposti dalla legge; e possono anche stipulare contratti atipici, purchè diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela.
Il giudizio di meritevolezza di tutela è un giudizio di fatto che può variare da caso a caso ed è incensurabile in Cassazione se adeguatamente motivato.
Tuttavia, c'è spazio per alcune considerazioni generali.
Dobbiamo, innanzitutto, distinguere la clausola pura da quella mista.
La clausola claims made pura esula del tutto dallo schema codicistico, in quanto essa slega del tutto il diritto di manleva dal fatto che il sinistro si sia causato durante la vigenza del contratto. Tale tipo di clausola, in effetti, assicura contro le richieste di risarcimento pervenute durante la vigenza del contratto, senza alcun riguardo al tempo in cui si è verificato il fatto storico che le ha causate.
In un certo senso, la presenza della claims made pura crea un contratto di assicurazione atipico, o comunque un contratto tipico nel quale è inserito un patto atipico, che è perfettamente valido se diretto a soddisfare interessi meritevoli di tutela.
Io ritengo che non possa dubitarsi della meritevolezza di tutela di un contratto di assicurazione con clausola claims made pura. Esso infatti risponde all'esigenza di assicurarsi contro la responsabilità reclamata, che è esigenza perfettamente legittima.
L'interesse dell'assicurato è, invero, di proteggere il suo patrimonio da una richiesta risarcitoria; mi sembra quindi perfettamente logico che si fondi il diritto di manleva esattamente sull'insorgere di tale richiesta piuttosto che sul verificarsi del fatto che ha causato il sinistro.
Più problematica è la soluzione nel caso della clausola mista.
Essa, infatti, presuppone pur sempre che il sinistro si sia verificato "durante il tempo dell'assicurazione" ma aggiunge l'ulteriore requisito che la richiesta di risarcimento sia pervenuta durante la vigenza del contratto.
Non può pertanto, in relazione alla clausola mista, parlarsi di patto atipico. Anzi, l'art. 1905 c.c. espressamente prevede che le parti possano stabilire i modi ed i limiti entro i quali l'assicuratore è tenuto a manlevare l'assicurato. Esso così recita:
La clausola claims made mista altro non è, sottolinea la Corte, che un patto volto a stabilire i suddetti limiti e modi e come abbiamo già visto non è nè una clausola vessatoria nè una decadenza convenzionale.
Il problema della clausola mista è che essa risulta molto penalizzante per l'assicurato. In effetti, tale clausola crea una barriera temporale molto importante alla copertura assicurativa.
E' da questo punto di vista che alcuni ne hanno messo in dubbio la validità. Essa cioè sembra una clausola sostanzialmente imposta dall'assicuratore, contraente forte, per limitare grandemente il novero di sinistri concretamente coperti dall'assicurazione.
Non si capisce, osservano alcuni studiosi, che interesse avrebbe l'assicurato ad accettare una clausola di questo tipo. Ecco perchè, argomentano, essa snatura del tutto il contratto di assicurazione, rompendo il sinallagma tra l'obbligazione dell'assicurato, che deve pagare il premio, e quella dell'assicuratore, che deve manlevare l'assicurato.
Al riguardo, la Corte precisa che la validità della clausola deve essere valutata caso per caso (e ovviamente si tratta ancora di giudizio di merito, insindacabile in Cassazione se adeguatamente motivato) avuto riguardo al rapporto contrattuale complessivamente considerato.
Per il caso di specie, per esempio, la Corte ha ritenuto correttamente motivata la decisione del Giudice di merito che aveva ritenuto valida la clausola claims made mista in quanto essa era retroattiva fino ai tre anni precedenti la stipula del contratto. Cioè, l'assicuratore si era obbligato a manlevare l'assicurato per i sinistri causati fino a tre anni prima dell'inizio del rapporto contrattuale, purchè la richiesta fosse giunta durante il tempo dell'assicurazione.
Questa estensione della copertura assicurativa, aveva ritenuto il Giudice di merito, bilanciava, in favore dell'assicurato, il carattere eccessivamente penalizzante che altrimenti la clausola claims made mista avrebbe presentato.
La Corte si occupa anche del caso in cui il professionista sia obbligato dalla legge o dal regolamento a dotarsi di assicurazione professionale.
Orbene, in tali casi, la legittimità di una eventuale clausola claims made deve essere attentamente valutata dal Giudice di merito.
In particolare, sottolinea la Corte, essendo l'obbligo di dotarsi di copertura assicurativa previsto a tutela del consumatore/cliente del professionista, deve tendenzialmente escludersi la validità di clausole che espongano il professionista a "buchi" nella copertura assicurativa.
Infine, specifica la Corte, qualora sia applicabile la disciplina posta a tutela del consumatore (D.Lgs. 206/05) la clausola può essere dichiarata nulla se determina un significativo squilibrio dei diritti e dei doveri in capo al consumatore. C'è da dire, tuttavia, che trattandosi di assicurazione per la responsabilità professionale, è alquanto improbabile che l'assicurato possa essere qualificato come consumatore.
Si riporta la massima della Sentenza n. 9140/16
essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata.
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