Studio Legale Mongiovì

Informazione giuridica a cura dell'Avv. Danilo Mongiovì

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Cassazione Civile, sez. II, 12-06-2007, n. 13748



Cassazione Civile, sez. II, 12-06-2007, n. 13748

FATTO E DIRITTO

La S.a.s. Gestimprese impugna per cassazione la sentenza 5.4.05 con la quale il G.d.P. di Pontassieve ne ha rigettato l'opposizione proposta avverso il verbale d'accertamento n. (omissis) redatto nei suoi confronti dalla polizia municipale di Rufina il (omissis) per violazione all'art. 180 C.d.S., comma 8.

Parte intimata non svolge attività difensiva.

Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale, conclude con richiesta di trattazione in pubblica udienza.

Tale richiesta non merita accoglimento, risultando il ricorso manifestamente infondato.

Al riguardo devesi considerare che l'inammissibilità della pronunzia in camera di consiglio è ravvisabile solo ove la Suprema Corte ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui al primo comma dell'art. 375 c.p.c., ovvero che emergano condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata, nel qual caso la causa deve essere rinviata alla pubblica udienza; ove, per contro, la Corte ritenga che la decisione del ricorso presenti aspetti d'evidenza compatibili con l'immediata decisione, ben può pronunziarsi per la manifesta fondatezza dell'impugnazione, anche nel caso in cui le conclusioni del P.G. fossero, all'opposto, per la manifesta infondatezza, e viceversa (Cass. 11.6.05 n. 12384, 3.11.05 n. 21291 SS.UU.).

Si duole la ricorrente che il giudice a quo abbia omesso di motivare in ordine all'esistenza d'un vizio formale dell'impugnato verbale, nel quale era contestato "al conducente" e non al proprietario di non aver fatto conoscere il nome del "conducente", ed abbia erroneamente interpretato l'art. 180 C.d.S., comma 8 in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale 27/05, non avendo preso in considerazione l'allegato giusto motivo d'impossibilità a comunicare il nome del conducente ritualmente fatto conoscere all'autorità procedente.

I riportati motivi sono inammissibile l'uno e manifestamente infondato l'altro.

All'evidenza il primo motivo non attiene ad omessa motivazione bensì, se mai, ad omessa pronunzia, atteso che nell'impugnata sentenza non è fatto alcun cenno alla deduzione del vizio formale de quo quale motivo d'impugnazione del verbale.

Ora, come ripetutamente evidenziato da questa Corte, l'omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, deve essere, anzi tutto, fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell'art. 112 c.p.c. e non già con la denunzia della violazione di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 24.6.02 n. 9159, 11.1.02 n. 317, 27.9.00 n. 12790, 28.8.00 n. 11260, 10.4.00 n. 4496, 6.11.99 n. 12366); perchè, poi, possa utilmente dedursi il detto vizio, è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda od un'eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile, e, dall' altro, che tali domanda od eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo del giudizio nel quale l'una o l'altra fossero state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi; ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell'art. 112 c.p.c., ciò che configura un'ipotesi di error in procedendo per il quale questa Corte è giudice anche del "fatto processuale", detto vizio, non essendo rilevabile d'ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità d'esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all'adempimento da parte del ricorrente, per il principio d'autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l'altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell'onere d'indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. 23.9.02 n. 13833, 11.1.02 n. 317, 10.5.01 n. 6502).

Nel motivo in esame non è fatto, per contro, alcun riferimento ad un motivo d'opposizione avente ad oggetto la questione de qua e, quindi, tanto meno alcun puntuale riferimento ai termini della sua deduzione con l'atto d'opposizione, ond'è che la censura d'omessa pronunzia, tra l'altro neppure idoneamente formulata con il necessario riferimento agli artt. 112 e 360 c.p.c., n. 4, risulta del tutto inadeguata all'onere di specificità sopra richiamato, imposto dall'art. 366 c.p.c., n. 4 in relazione al principio d'autosufficienza del ricorso e, pertanto, sotto il profilo in esame, evidentemente inammissibile.

Quanto al secondo motivo, la ricorrente non chiarisce adeguatamente se l'opposizione fosse stata proposta avverso la decurtazione dei punti-patente a carico dell'amministratore d'essa società ovvero avverso la sanzione amministrativa pecuniaria.

In entrambi i casi la censura è infondata.

Quanto al primo, la ricorrente non ha, allo stato, interesse a ricorrere sul punto, dal momento che la questione può essere risolta in via amministrativa della L 24 novembre 2006, ex artt. 164 e 165, di conversione del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 44 e, comunque, difetta di legittimazione a far valere un diritto personale dell'amministratore che ha proposto ricorso non in proprio, o "anche" in proprio, ma solo nella qualità.

Quanto al secondo, la ricorrente, allegando d'aver addotto a giustificazione dell'omessa comunicazione dei dati relativi al conducente l'impossibilità d'identificare quest'ultimo in ragione dei numerosi automezzi di sua proprietà affidati a vari dipendenti e l'insussistenza d'alcun obbligo di registrare ciascun affidamento, non ebbe a fornire, nè fornisce in questa sede, un'idonea ragione per esimersi dalla responsabilità accollatale dalla norma.

In tema di violazioni al codice della strada, integra l'ipotesi di illecito amministrativo previsto dal combinato disposto degli artt. 126 bis e 180 C.d.S. l'omessa collaborazione che il cittadino deve prestare all'autorità amministrativa al fine di consentirle l'espletamento dei necessari e previsti accertamenti per l'espletamento dei servizi di polizia stradale.

Nella specie il giudice di pace ha applicato correttamente la citata norma del codice della strada posta a base dell'infrazione contestata al ricorrente.

Nella lettura della sentenza 27/05 della Corte Costituzionale, non va confusa la parte dell'art. 126 bis C.d.S., comma 2 come modificato dal D.L. 27 giugno 2003, n. 151 a sua volta modificato dalla Legge di Conversione 1 agosto 2003, n. 214, dichiarata incostituzionale, che è quella in cui era comminata la riduzione dei punti della patente a carico del proprietario del veicolo che non fosse stato anche responsabile dell'infrazione stradale, con altra parte della stessa norma, che è quella rilevante nel presente giudizio, non solo non dichiarata incostituzionale ma, anzi, la cui applicabilità è espressamente richiamata dal giudice delle leggi che, a conclusione della motivazione, ha testualmente affermato; "L'accoglimento della questione di legittimità costituzionale, per violazione del principio di ragionevolezza, rende, tuttavia, necessario precisare che nel caso in cui il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui all'art. 180 C.d.S., comma 8. In tal modo viene anche fugato il dubbio - che pure è stato avanzato da taluni dei rimettenti - in ordine ad una ingiustificata disparità di trattamento realizzata tra i proprietari di veicoli, discriminati a seconda della loro natura di persone giuridiche o fisiche, ovvero, quanto a queste ultime, in base alla circostanza meramente accidentale che le stesse siano munite o meno di patente".

Tale asserzione, in quanto interpretativa e confermativa della validità di norma vigente, trova applicazione anche ai fatti verificatisi precedentemente e regolati dalla norma stessa.

Il giudice a quo ha, dunque, correttamente erroneamente disatteso la giustificazione dell'omessa comunicazione dei dati relativi al conducente dedotta dall'opponente con la pretesa impossibilità d'identificare il soggetto autore dell'illecito in ragione dei numerosi automezzi di sua proprietà affidati a vari dipendenti e l'insussistenza d'alcun obbligo di registrare ciascun affidamento, dacchè, con tale deduzione, l'opponente non ebbe a fornire, in realtà, alcuna idonea ragione per esimersi dalla responsabilità accollatagli dalla norma.

Il proprietario del veicolo, infatti, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l'identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione, onde dell'eventuale incapacità d'identificare detti soggetti necessariamente risponde, nei confronti delle une per le sanzioni e degli altri per i danni, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull'affidamento in guisa da essere in grado d'adempiere al dovere di comunicare l'identità del conducente.

L'elevato numero dei mezzi in proprietà o dei dipendenti che ne usano non fa venir meno nè tale dovere nè esime dalla responsabilità in caso d'inadempimento.

In tali termini integrata, ex art. 384 c.p.c., la motivazione dell'impugnata sentenza, questa, conforme a diritto, non è soggetta a cassazione.

Parte intimata non avendo svolto attività difensiva, non v'ha luogo a provvedere sulle spese.

P.Q.M.

LA CORTE respinge il ricorso.



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